Edward Burne-Jones – The golden stairs (1880)
Posted by Isabelle on June 3rd, 2011 filed in OggettiEdward Burne-Jones
La scala d’oro
(1880)
Diciotto giovani donne, indossando abiti lunghi riccamente drappeggiati (definiti “camicie da notte di carta stagnola” da Vanity Fair nel 1880), scendono lungo un’ampia scala a spirale, reggendo diversi strumenti musicali. Alcune chiacchierano tra loro, mentre altre appaiono svagate, perse nei loro pensieri, quasi rapite. I colori eterei e l’atmosfera soffusa conferiscono al dipinto caratteristiche di un sogno. Alcune colombe sono appollaiate sul cornicione che si affaccia sul mondo esterno. La scala d’oro può essere annoverata tra le composizioni “senza soggetto” di Burne-Jones, opere che provocavano une certa ostilità nel pubblico vittoriano, il quale esigeva che “ogni ogni quadro raccontasse una storia”. Brune-Jones può avere intenzionalmente dipinto un quadro enigmatico proprio per provocare una discussione. Cercò a lungo un titolo adatto per il dipinto, optando prima per “Nozze del re” e poi per “Musica sulle scale”, prima di decidere per il definitivo e ugualmente ambiguo La scala d’oro. Il quadro fu esposto alla Grosvenor Gallery, che proponeva artisti d’avanguardia in un luogo espositivo alternativo alla Royal Academy.
Anche se le donne appaiono molto simili tra loro, l’artista si ispirò a persone reali. Antonia Caiva, modella professionista italiana che lavorava spesso per Rossetti, posò per Burne-Jones, come pure familiari e amiche dell’artista. Nel corteo delle giovani si scorgono i volti della figlia Margaret e di May, la figlia di Morris. Le vesti drappeggiate e morbide erano ispirate allo studio dell’antichità classica ed alle lunghe ore trascorse al British Museum nell’esecuzione di schizzi dei marmi Elgin. La tavolozza dei colori era limitata alla gamma dei bruni dorati, del grigio argento e a diversi toni di azzurro. Il critico Frederic George Stephens accostò la ristretta gamma di colori alla tavolozza di Piero della Francesca, che Burne-Jones ammirava particolarmente. Nella sua opera si avvertono inoltre gli echi dell’estetismo e del simbolismo influenzati da Walter Pater (1839/1894) che attribuiva un enorme valore all’esperienza estetica e riteneva che la pittura, come la musica, potesse avere un valore puramente astratto ed evocativo. A lui si deve il famoso aforisma degli anni ’70: “tutta l’arte aspira costantemente alla condizione della musica“.
Opere così grandi richiedevano talvolta a Burne-Jones diversi anni di lavoro e Georgiana annotava nel suo diario il 22 aprile 1880: “L’opera può considerarsi finita e il pittore è sfinito, o quasi. Non è mai stato tanto corto di tempo in tutta la sua vita“.
Il formato verticale e stretto de La scala d’oro è caratteristico di diverse opere di Burne-Jones, come L’annunciazione (1879; Liverpool, National Museums Liverpool) e Re Cophetua e la mendicante, e potrebbe essere un riflesso della sua esperienza nella creazione di disegni per le vetrate delle chiese. Si riteneva che La scala d’oro fosse stata d’ispirazione per William Schwenck Gilbert (1836/1911) nella composizione dell’operetta Patience, rappresentata per la prima volta al’Opera Comique di Londra nel 1881. Nella sua satira sull’estetismo i personaggi prendono in giro la “greenery-yallery Grosvenor Gallery“.
(Heather Birchall, I Preraffaelliti. Ed Taschen)
Leave a Comment