Voracità

Posted by admin on January 31st, 2009 filed in V

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Dal latino voro, divorare, il termine voracità è essenzialmente legato alla sfera dell’alimentazione e per traslazione alla sfera cosmica, quando il termine è attribuito al fuoco o quando ne viene fatta derivare l’espressione voragine. Secondo alcuni studiosi di semiotica e antropologia, la relazione etimologica tra voracità e voragine, tra la sfera dell’alimentazione e quella dell’abisso infernale, non è casuale: non sarebbe un caso da sottovalutare infatti che molti oltretomba siano concepiti come voragini, dal Tartaro in cui Zeus aveva confinato in eterno i Titani, talmente profondo che secondo Plinio un’incudine lasciata cadere avrebbe impiegato nove notti a toccarne il fondo, alla profonda voragine dell’Averno, ingresso degli inferi, dall’inferno dantesco al dominio di Seth, sorta di inferno contrapposto al regno di Iside e Osiride, dove regna la tenebra e imperversano i demoni, fino al regno della dea nordica Hel, figlia di Loki e della più temibile delle furie, madre di tutte le malattie e sorella del lupo e del serpente.
Ed è proprio con il serpente si stabilisce, in relazione alla voracità e all’oltretomba, una relazione quasi univoca come quella tra il lupo e il mutaforma diurno. Nelle culture mediorientali e successivamente in quella greco-romana, è costante la presnza di un filo che lega la donna al serpente e questa coppia al binomio sottosuolo-morte: Euridice, personaggio chiave dei misteri orfici, muore dopo essere stata morsa da un serpente, e sempre sui serpenti esercita il suo dominio la dea cretese della luna e dei terremoti, la accadica Tiamat è dea infernale dei serpenti e il suo nome significa appunto “voragine”, Lilith viene trasformata in serpente e proprio da un serpente viene tentata Eva (creando una fortunata associazione serpente-demonio).

Da un punto di vista scientifico, il bisogno umano di nutrimento viene amplificato negli infetti, fino a portare a gravi scompensi psicofisici e, in alcuni casi, a reazioni violente compulsive o alla stasi dell’organism0. Nella necrosi degenerativa africana, il bisogno compulsivo di carne cruda che sostenga l’infezione e diffonda il contagio è l’unico motore della coscienza e costituisce il massimo stadio conosciuto di voracità. Nei mutaforma diurni, lo stesso bisogno è razionalizzato e tenuto sotto controllo dalle funzioni superiori del sistema nervoso centrale e solo se non soddisfatta si traduce in manifestazioni aggressive e incontrollate: il massimo periodo di astinenza è comunemente considerato di 40-45 giorni, come il ciclo lunare. Nel ceppo notturno, si manifesta un analoga necessità nei confronti delle sostanze contenute nel sangue, che costituiscono la chiave del metabolismo e senza le quali non è possibile assimilare nessuna altra sostanza nutritiva da altri cibi (al contrario dei mutaforma diurni, che nella tolleranza dei 40 giorni possono trarre sostegno altrove): proprio a causa di questa fondamentale differenza, la durata massima dell’astinenza per gli immortali notturni è molto più corta e al termine di essa si manifesta una fase di bisogno ossessivo-compulsivo che può o non può tradursi in manifestazioni di violenza incontrollata a seconda dell’individuo. Quando l’organismo raggiunge il suo massimo livello di astinenza, cade in uno stato di coma vegetativo durante il quale può o non può, a seconda della gravità, essere cosciente (lo stesso status in cui cade quando il cuore viene distrutto o inabilitato a funzionare).

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