William Degouve de Nuncques – La foresta acquitrinosa

Posted by Isabelle on August 15th, 2011 filed in Oggetti

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William Degouve de Nuncques
La foresta acquitrinosa
- 1898 -
Olio su tela, cm 66,5 x 127

Nell’antichità e anche in tempi meno remoti – come nel Macbeth di Shakespeare, per esempio – la foresta, reale o immaginaria, era qualcosa di vivo, dotato di una propria volontà, che poteva parlare, spostarsi, oppure, come nella tragedia shakespeariana, fare giustizia di un usuroatore ponendo fine alle sue azioni. Si era soltanto a un passo dal farle vivere una vita umana, e quel passo fu compiuto dai simbnolisti nell’ultimo decennio dell’Ottocento. Fu allora che le foreste si trasformarono in legioni e, da Puvis de Chavannes fino a Maurice Denis, i boschi invasero la pittura. Con Jan Toorop, che nel 1892 espose al Salon des XX di Bruelles La giovane generazione (Roterdam, Museum Boijmans Van Beuningen), la foresta divenne il luogo usato per rievocare le diverse età del’uomo; qui gli alberi scandiscono le varie fasi dell’avventura umana, dal’infanzia – rappresentata dal ritratto della figlia dell’artista, Charley (1891-1955) – fino allamorte,  simboleggiata da un teschio posto sotto il seggiolone di una bambina che con le braccia alzate sembra dirigere lo sviluppo della natura circostante.

Degouve de Nuncques vide il quadro di Toorop e lo tenne presente nelle sue numerose raffigurazioni di foreste che a volte servivano semplicemente da fondali,  altre volte costituivano il motivo principale delle sue creazioni, misteriose evocazioni immerse in un’atmosfera notturna in cui la coscienza è indotta a rinunciare alle proprie certezze per lasciarsi sommergere dall’irrazionale (Notturno al parco reale di Bruxelles, Parigi, Musée d’Orsay). Non sorprenderebbe dunque che, con il favore dell’oscurità, la fitta selva di tronchi venga a somigliare a una folla brulicante di città, tanto da presentarne i tratti e le caratteristiche, e che la foresta assuma – in termini di metafora – tutta la sofferenza e la bruttura di un mondo che ha dimenticato la propria condizione originale e al quale il pittore sembra guardare con sdegno. L’antropomorfismo sinistro della Foresta acquitrinosa, messaggio destinato a molte generazioni di posteri, in realtà si sarebbe impercettibilmente evoluto nel senso di una sdrammatizzazione, come dimostra il celebre film girato nel 1939 da Victor Fleming, Il Mago di Oz, il cui frutteto “umanizzato” è ormai elemento culturale univesale che va rapidamente liberandosi dai suoi contenuti inquietanti.

- Il simbolismo. Da Moreau a Gaugiin a Klimt. -

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